Mi piace l’immagine della cipolla tagliata per far lacrimare in automatico: così vengono definite certe pubblicità, intendendo che sono studiate per premere su tasti facili, per generare commozione on-demand. Spesso hanno un grande successo, ma a volte sentiamo una corda interiore che tira, che ci trattiene dal cadere nell’ingranaggio che conduce alla lacrima. Dell’automatismo credo ci disturbi il fatto che ci metta a confronto con la nostra incapacità di sottrarci.
A me disturba. L’abracadabra che ci accomuna in un minimo comune denominatore che non distingue me, che ho letto Carver, per dire, da mia nonna che leggeva le biografie dei Savoia. Mi disturba perché non dà conto della mia (presunta) diversità dalla massa, del mio ritenermi critica, consapevole e non così facilmente aggregabile in un target di clientela a cui orientare i messaggi. Eppure c’è là fuori qualcuno che fa un lavoro, non troppo diverso dal mio, che consiste proprio nella ricerca di quel denominatore comune da inserire in una struttura infallibile che chiamiamo retorica e che ha garantito nei secoli ad un mittente di sedurre uno o più destinatari. Diciamolo, anzi no, lo dico io, la pubblicità della Mainpeople mi piace, perché? Perché nel muoversi all’interno di nuovi luoghi comuni nei quali riconosciamo le nuove fisionomie di personaggi-attanti sceglie l’anticopione per tracciare una differenza. E in quell’Anti mi sento distinta e distinguibile e in pace con me stessa. Sono l’uomo che vende i salvagenti a paperella, sono inerte davanti al tizio che affoga, sono uno di quelli che citano le statistiche, un menagramo, uno sfagiolatore polemico? Certo che no! Io sono diversa, intervengo, finanzio, filantropizzo.
Ma anche l’anticopione, il politicamente scorretto, che per essere tale deve avere un termine di paragone da cui marcare le differenze, ha una sua struttura retorica dono del solito vecchio Aristotele e degli amici suoi. Il tema di fondo però è qual è il tuo mestiere? La mia esperienza monoculare sul fenomeno mi dice che devo tener conto dell’ego del committente, che se piccolo va innalzato e se grande va customizzato (ok adesso cerco la parola giusta per dirlo) e devo instradarlo in un percorso narrativo che mi consenta di portarmi dietro più lettori/ascoltatori/acquirenti possibili. Non per fare una cosa che oggi chiamiamo storytelling e una volta chiamavamo “conta su”, ma perché la nostra mente procede ed elabora la percezione del mondo creando strutture narrative.
Il racconto è un dispositivo mnemonico: lo story-telling è prima di tutto story-thinking. E di questa brillante scoperta delle neuroscienze, noi contemporanei, possiamo solo scegliere di fare buon uso, certo non pensare di averlo inventato. Detto ciò, per fare l’autore divergente, che sceglie una narrazione in contromano, rivolta ad una specifica nicchia, bisogna avere ben presente se le dimensioni della nicchia reggono la relazione con l’investimento, ed essere sicuri che il committente abbia una precisa ambizione angolare, che scelga deliberatamente di confinare l’ampiezza del proprio messaggio mirandolo ad una parte, con oculata esclusione di chi non converge in quella visuale prospettica (Vedi Céres con la sentenza Berlusconi).
Dici che non è lo stesso gioco? Non sono sicura. Credo sia proprio lo stesso, forse con scopi differenti. Differente, ecco questa è la parola su cui svolta il discorso, quella su cui mi interrogo infine. Quelli di MP vogliono essere seguiti solo da una manciata di mancini, intellettualmente avvezzi a sminuzzare i significati? O vogliono creare un feticcio ironico da cui prendere le distanze, bruciandolo sul falò liberatorio dell’ironia; offrendoci l’opportunità di sentirci Tutti Differenti e dunque migliori di come lo spot ci stereotipizza?
p.s. Appunti di storia: Apple scelse come claim “pensa differentemente” indicando una via e dei modelli. Mainpeople gioca sullo stesso messaggio ma usando una strada deduttiva “siete tutti brutta gente che sta sulla finestra social a guardare le disgrazie del prossimo e a commentarle senza intervenire. Dite di no? Ok, dimostratelo”.
Chissà se l’efficacia dell’invito all’azione è la stessa. Lo scopriremo solo contando.